Aprire una partita Iva è il primo passo fondamentale quando si vuole avviare un’attività commerciale in Italia. Tuttavia, a spaventare gli aspiranti imprenditori è spesso il Fisco. Fermo restando che ogni attività deve essere svolta rispettando le norme vigenti nel proprio paese, è anche vero che essere tassati e ‘tartassati’ non è una prospettiva molto allettante. Esistono però delle buone prassi, che se applicate, possono evitare i controlli periodici del Fisco per quanto riguarda il rapporto tra tasse e partita Iva.
Prima regola per evitare i controlli: attenzione ai versamenti e ai prelievi
Dato che le partite Iva italiane sono le più controllate, è bene in sostanza non far accendere quella lampadina rossa che agli occhi dell’Agenzia delle Entrate suona come operazione sospetta. La prima lampadina si accende ad esempio quando si fa un versamento non tracciabile o al di sopra delle proprie entrate. È vero che in Italia ci sono centinaia di migliaia di imprenditori con partita Iva, ma è anche vero che i software gestionali a disposizione sono in grado di tracciare versamenti sospetti. In questi caso quindi è sempre bene:
- non versare sul conto contanti che non possono essere tracciati, anche se la provenienza è del tutto lecita. A distanza di mesi o anni si potrebbe infatti avere difficoltà a ricordare da dove venissero dei contanti, mentre con una ricevuta o un bonifico questo problema non ci sarebbe;
- effettuare bonifici quanto più completi possibile, con soprattutto la causale che potrà essere usata in sede di contenzioso per dimostrare la provenienza del denaro;
- non effettuare prelievi di contanti che eccedano i 5.000,00 euro al mese o i 1.000,00 euro al giorno. Anche in questo caso infatti si potrebbe essere contattati per giustificare poi la destinazione di quei soldi.
Seconda regola per evitare i controlli: niente spese eccessive
Va da sè che spendere più di quanto si guadagni non è una buona idea per evitare i controlli. In questo caso infatti la lampadina che si accende è quasi garantita. Prendendo a riferimento il tanto famigerato redditometro infatti, la Cassazione stabilisce che l’Agenzia delle Entrate è autorizzata ad effettuare accertamenti in caso di acquisti che eccedono le proprie risorse.
Auto d’epoca che vanno mantenute, case che costano sia per la ristrutturazione che per il costo del giardiniere e dei domestici, troppi viaggi ma anche addirittura troppi pranzi fuori casa, possono far insospettire se poi in dichiarazione dei redditi si dichiarano appunto poche entrate. In questi casi può essere utile la cosiddetta ‘donazione indiretta’. Di cosa si tratta? Di farsi donare i soldi necessari (ad esempio per pagarsi il viaggio di nozze o una macchina nuova) da un amico o da un parente, facendo transitare i soldi da un conto corrente all’altro (con tanto di causale), in modo da dimostrare di aver effettuato un acquisto al di sopra delle proprie possibilità ma con i soldi donati da un’altra persona.
In caso di controllo ci sono entrate che rendono nullo l’accertamento
Se nonostante tutte le accortezze messe in atte arriva un controllo, non c’è motivo di farsi prendere dal panico. Innanzitutto se si è in buona fede non si avrà nulla da temere, e in secondo luogo se si sono conservate tutte le ricevute del caso, si potrà ricostruire la storia della contestazione replicando in maniera puntigliosa al Fisco. Questo può evitare l’accertamento vero e proprio, e si tratta di una sorta di confronto preventivo che è di diritto del contribuente.
Ci sono però delle spese che rendono nullo l’accertamento, a patto sempre di poterne dimostrare la provenienza. Quindi, in caso di contestazione, è bene dimostrare che una delle entrate contestate appartengano a:
- vincite al gioco, che sono state già tassate alla fonte e che quindi non possono essere ritassate;
- qualunque tipo di reddito esente:
- eventuali eredità;
- un indennizzo che provenga ad esempio da una causa contro il datore di lavoro;
- un risarcimento del danno come ad esempio quello che si ottiene dall’assicurazione dopo un incidente.